Non serviva andare fino in Macedonia per provare “l’ebbrezza” di salire su una vendemmiatrice meccanica. Ma è lì che è capitato. Un’esperienza che apre gli occhi sull’importanza della meccanizzazione di precisione in viticoltura. Un aspetto sul quale anche l’Italia sta facendo la sua parte.
L’esempio concreto è quello di Regione Lombardia, che con l’assessore Fabio Rolfi non usa sofismi: «La meccanizzazione è uno degli elementi chiave per l’agricoltura del futuro. Innovare significa abbattere le emissioni, razionalizzare le risorse, promuove la precision farming. L’agricoltura italiana è già la più sostenibile d’Europa e grazie allo sviluppo dei macchinari sarà possibile ottenere risultati ancora migliori in ottica di tutela delle aziende e dei consumatori».
All’Eima International di Bologna, fiera internazionale di Macchine per l’Agricoltura e il Giardinaggio, andata in scena dal 19 al 23 ottobre, Rolfi ha annunciato l’ormai prossima indizione di «un bando, già presentato alle associazioni di categoria, per ridurre le emissioni prodotte dalle attività agromeccaniche attraverso l’acquisto di macchinari innovativi e impianti di trattamento degli effluenti».
Perché, ha sottolineato l’assessore regionale della Lombardia, «non basta parlare di sostenibilità, serve accompagnare le aziende nei processi di innovazione». Macchine vendemmiatrici come quelle “testate” in Macedonia sono già a disposizione di diverse aziende vitivinicole italiane. Al di là della “poesia” (mancata) della raccolta manuale, il risultato è stupefacente.
SUL TETTO DELLA VENDEMMIATRICE MECCANICA
Il rumore dei rulli picchia forte nelle orecchie mentre Delco Baltovski, Ceo di Dalvina Winery, mostra fiero il suo ultimo investimento: «La precisione garantita da questa apparecchiatura è qualcosa di impressionante», si lascia scappare mentre il macchinario, chicco dopo chicco, setaccia centinaia di viti di Vranec in pochi minuti.
Siamo a Bosilovo, piccolo centro rurale della zona sudorientale della Macedonia del Nord. Sullo sfondo la Grecia settentrionale. La valle disegnata dai fiumi Struma e Strumeshnica, nella regione vinicola Strumica-Radovish, è un tappeto di vigneti di pianura, posti a un’altitudine di 380 metri sul livello del mare.
Tutt’attorno, montagne imponenti tra le cui vette s’insinua un vento costante e instancabile, che non smette di soffiare anche di notte. La temperatura dell’aria durante il periodo di vegetazione è in media di 20,2 gradi centigradi. Da questa parti, sono circa 210 i giorni di sole all’anno.
Piogge scarse e umidità relativamente bassa consentono a Dalvina Winery di raccogliere uve sanissime. Anche con la vendemmiatrice meccanica, che permette di abbattere ulteriormente i costi della manodopera (i vendemmiatori regolari, tra cui numerose famiglie gipsy, costano appena 30 euro per 7 ore di lavoro).
«Il modello originale – rivela il Ceo Delco Baltovski – è il Pellenc Selective Process 2 – Precision Viticulture. Un mezzo che ci è costato circa 400 mila euro, comprese alcune modifiche che abbiamo apportato per rendere ancora più efficiente e di qualità il processo di raccolta e l’immediato conferimento in cantina».
NON SOLO VENDEMMIA MECCANICA
Sul tetto della vendemmiatrice c’è una piattaforma che consente a quattro persone di assistere (comodamente) alle fasi di “mietitura” delle uve. L’autista è un giovane del posto, protetto nella sua cabina di guida, con ampia visuale sul vigneto. La velocità di carriera del mezzo non è elevatissima, ma consente di raccogliere e selezionare il Vranec acino per acino.
Ad effettuare l’operazione sono due imponenti bracci robotici, che scuotono il filare da capo a fondo, liberando i frutti. A impressionare, oltre alla perfetta “pulizia” del raspo dopo il passaggio della vendemmiatrice meccanica, è la perfetta integrità degli acini, nonostante il trambusto a cui vengono sottoposti, in stato di perfetta maturità.
Per Dalvina Winery, è un alleato fondamentale: «Siamo una cantina relativamente giovane – spiega ancora Delco Baltovski – ma abbiamo investito sin da subito in qualità, anche dal punto di vista della tecnologia. Del resto alleviamo 800 ettari, con una capacità di stoccaggio di 60 mila ettolitri».
Al momento, la produzione di Dalvina Winery si assesta annualmente tra i 2,5 e i 3 milioni di bottiglie. Tra i vini top di gamma un grande Vranec barrique, il Dioniz, frutto di un vigneto dove la raccolta manuale è un must. Piante di oltre 50 anni e conformazione dell’impianto, del resto, tengono lontana la vendemmiatrice meccanica. E allora lunga vita alle vecchie viti. Che a quelle giovani ci pensa il progresso.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.